Risponde di omicidio colposo per imperizia e negligenza il medico di pronto soccorso che, in presenza di sintomatologia dolorosa che giustifichi una diagnosi differenziale, formuli una diagnosi inesatta omettendo gli ulteriori accertamenti necessari per addivenire alla diagnosi corretta, che gli consenta di praticare la terapia più idonea scongiurando la morte del paziente (nello stesso senso, Cass. 34729/2011). La c.d. diagnosi differenziale consiste in un processo interferenziale attraverso il quale il medico, partendo da ipotesi diagnostiche plausibili, cerca di enucleare quella logicamente più prossima alla malattia del paziente, mediante un procedimento di selezione. Nell’esecuzione della diagnosi differenziale, il sanitario è assistito dalle linee guida e dalle buone pratiche mediche, le quali, tuttavia, non indicano una analitica e predeterminata successione di adempimenti, ma propongono direttive di massima che devono essere applicate senza automatismi in rapporto alle peculiari specificità del singolo caso clinico. Il medico deve, dunque, procedere, seguendo la direzione indicata dalle linee guida, nella formulazione delle ipotesi, fino a che non giunge a quella che risulta riscontrata dai dati empirici raccolti e non viene falsificata da altri.
La Corte, inoltre, rimarca la diversa posizione processuale dei consulenti di parte rispetto ai periti, laddove i primi prestano la loro opera nel solo interesse della parte che li ha nominati e non assumono l’impegno di obiettività previsto per i soli periti dall’art. 226 c.p.p.. . Nel contempo, sottolinea la specificità della posizione dei consulenti del PM in quanto il consulente tecnico nominato dal pubblico ministero, sia pure prestando un’attività di ausilio a una parte del processo, presenta specifiche peculiarità, ripetendo dalla funzione pubblica dell’organo che coadiuva i relativi connotati. Egli concorre oggettivamente all’esercizio della funzione giudiziaria e ha il dovere, connaturato a ogni parte pubblica, di obiettività e imparzialità nel senso che la sua funzione è tesa al raggiungimento di interessi pubblici, quale, in primis, l’accertamento della verità, posto che il pubblico ministero deve svolgere indagini su fatti e circostanze anche a favore della persona sottoposta alle indagini (art. 358 c.p.p.). Il ruolo e la funzione rivestiti gli impongono dunque il dovere di verità.