Afferma che l’azione di petizione di eredità si distingue nettamente da quella di nullità del testamento.
La prima ha natura reale ed è diretta a riconoscere in capo all’istante la qualità di erede solo quale presupposto dell’azione recuperatoria, accertabile in via incidentale e senza efficacia di giudicato.
Diverso è il caso in cui la domanda di petizione di eredità sia affiancata dall’impugnazione del testamento a cagione del fatto che il detentore del bene da recuperare è erede testamentario. In tal caso l’azione è diretta a colpire il testamento con una pronuncia sullo status di erede legittimo afferente un rapporto sostanziale unitario. Conseguentemente, il relativo giudizio non è circoscritto al conflitto tra l’erede ed il detentore dl bene ereditario, ma riguarda il rapporto successorio e/o l’eventuale apertura, se il testamento è dichiarato nullo o annullato, della successione legittima. In questo giudizio sono perciò parti necessarie anche gli altri successibili, ovvero coloro che succederebbero ex lege in caso di declaratoria di nullità del testamento.
La sentenza statuisce altresì che il pagamento delle spese processuali effettuato dalla parte soccombente in primo grado direttamente al difensore non distrattario viene ricevuto da quest’ultimo non a titolo personale (quale creditore in proprio), ma in nome e per conto del cliente il quale è legittimato passivo della pretesa restitutoria.
Al riguardo, si osserva che, per giurisprudenza consolidata (cfr. Cass.10628/2015), il procuratore distrattario assume invece la qualità di parte limitatamente al capo di pronuncia con il quale gli sono state attribuite le spese ed alle censure che investono direttamente e specificamente tal capo (così anche Cass. 9062/2010). Egli, in tale veste, è perciò legittimato a subire l’impugnazione anche nella parte in cui attiene al diritto, contestato con il gravame, del difensore distrattario di trattenere le spese di lite nelle more eventualmente corrispostegli e, conseguentemente, può essere condannato alla rifusione di esse con la sentenza di appello che riformi la pronuncia di primo grado (così Cass. 13752/2002).